L'isola di Arturo | Il viaggio di Elsa Morante tra gioventù e perdita
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Fin dalle prime pagine, L’isola di Arturo immerge il lettore in un mondo dove il mare brilla “di uno splendore indifferente”, incantevole e inesorabile. Lì giace l’essenza del capolavoro di Elsa Morante. Si tratta di un romanzo dal lirismo ipnotico che esplora la solitudine, il desiderio e il destarsi dell’adolescenza. Pubblicato nel 1957 e vincitore del Premio Strega, il romanzo è una pietra miliare della letteratura del dopoguerra italiano. In esso si delinea una visione della giovinezza al confine tra mito e realtà.
Attraverso gli occhi di Arturo i lettori assistono alla fragile architettura degli ideali, alla caduta delle illusioni e al desiderio dolceamaro di allontanarsi da casa. A ciò si aggiunge la consapevolezza che l’isola rimarrà per sempre impressa nel cuore.
Arturo tra mare e scogli: formazione e solitudine
Arturo cresce a Procida, una piccola isola nel Golfo di Napoli, tra l’ombra della madre defunta e quella del padre spesso assente. Casa sua, la Casa dei Guaglioni, sembra essere afflitta da una sinistra superstizione. Le donne che l’abitano sono condannate a morire giovani. Arturo passa le giornate a zonzo per l’isola, capitano della sua barca e del mare, sognando imprese eroiche.
Quando il padre torna con una giovane sposa, Nunziata, il senso di sé e della propria famiglia si destabilizza. Lei lo disorienta e insieme lo addolcisce e preparandogli torte per il suo compleanno diventa la madre che non ha mai avuto. Tuttavia, la visione patriarcale del mondo rimane e Morante non assolve Arturo. Ne riporta fedelmente la confusione e i conflitti interiori nel giostrarsi in un mondo plasmato da maschilismo e patriarcato.
Procida, tra mito e realtà: l’isola come protagonista
Procida non è solo un’ambientazione ma un personaggio a se stante. Nel romanzo, l’isola sembra tratta da Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare. È un luogo dove la bellezza terrena raggiunge il suo apice. L’autrice delinea le scogliere, le grotte, il vento salato e l’acqua a perdita d’occhio con descrizioni idilliache che sfiorano il fantastico.
Per Arturo, l’isola è sia casa sia regno e lui il suo giovane sovrano. Libero di navigare lungo le sue sponde e di errare tra rocce e campi, si sente invincibile. Con il passare dell’infanzia, però, fa capolino l’angoscia della partenza e lo struggimento nel vedere la terra natia allontanarsi:
Non mi va di vedere Procida mentre s’allontana, e si confonde, diventa come una cosa grigia… Preferisco fingere che non sia esistita. Perciò, fino al momento che non se ne vede più niente, sarà meglio ch’io
L’Isola di Arturo
non guardi là.
Il mito, il nome di Arturo e il crollo delle figure paterne
Uno dei motivi d’orgoglio di Arturo è il proprio nome:
Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome […] Arturo è una stella: la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale […] E che inoltre questo nome fu portato pure da un re dell’antichità, comandante a una schiera di fedeli: i quali erano tutti eroi, come il loro re stesso, e dal loro re trattati alla pari, come fratelli.
Arturo fa suoi questi miti comparandosi con i personaggi delle tragedie greche come Edipo, Achille e Ulisse. Inizialmente il padre di lui, Wilhelm, gli appare come una figura divina, remota e celestiale. Maturando, egli inizia a riconoscersi in un essere umano imperfetto e non immune all’errore. Il crollo del mito paterno è la tragedia più intima del romanzo: nessun essere umano, neanche un padre, può essere all’altezza della magnificenza epica.
Donne, superstizione e maschilismo nel romanzo
La Casa dei Guaglioni è velata da un’aura di superstizione: le donne che ne fanno parte sono sventurate. Cresciuto orfano di madre, Arturo è tormentato dalla sua assenza e ricerca l’affetto materno nella matrigna Nunziata. Lei lo destabilizza e lo conforta allo stesso tempo, dedicandogli premure a lui sconosciute. Eppure il loro rapporto è complesso: il ragazzo si bea della presenza materna ma al contempo affiorano in lui gli ardori del primo amore.
Arturo cresce in una cultura che sminuisce le donne. Egli osserva:
Secondo il mio giudizio, le donne reali non possedevano nessuno splendore e
nessuna magnificenza […] e andavano come animali intristiti.
Il patriarcato e il retaggio culturale del Mezzogiorno fanno sì che lui reputi le donne deboli, pesanti e a tratti pericolose. Morante ritrae con schiettezza la sua confusione e bramosia. Mostra come l’assenza, la superstizione e il maschilismo modellino l’origine del desiderio, dell’amore e del giudizio morale.
La scrittrice stessa avrebbe preferito nascere maschio, conscia delle libertà e dei privilegi che questo poteva garantire. Quando lei dichiara, “Arturo, c’est moi“, si identifica col suo coraggio e le sue azioni: scrive di adolescenza, desiderio e ambizione da una prospettiva dalla quale avrebbe voluto godere.
Morante e l’eredità letteraria: da Elsa a Elena Ferrante
L’ambivalenza di Morante nei confronti delle figure materne nei suoi romanzi non l’ha esclusa dall’essere riconosciuta come madre simbolica dalle femministe italiane. Nel 1982 il Collettivo delle Librerie delle Donne di Milano l’ha definita come “una delle nostre madri“.
Elena Ferrante, sua più nota erede letteraria, spesso attribuisce a Morante il merito di aver legittimato le sue rappresentazioni audaci e senza i compromessi del desiderio e dell’imperfezione femminili.
La Napoli di Ferrante rimanda alla Procida di Morante: entrambe sono luogo di povertà, violenza, superstizione e segreti familiari. Natalia Ginzburg, un’altra figura di rilievo della stessa generazione di Morante, l’ammira. Insieme, queste autrici danno il via alla progenie di scrittici italiane che ora interessano sempre più le traduzioni inglesi.
Infine, L’isola di Arturo tratteggia la nascita dell’individualità e la fine dell’infanzia, l’orgoglio del senso di appartenenza e il dolore della partenza. Morante ci presenta un ragazzo che ama e sogna troppo nella sua lotta con l’impossibilità del mito di sopravvivere alla realtà. Procida può svanire all’orizzonte, ma rimane indelebile. Le generazioni che si susseguono continuano a identificarsi nella visione di Morante dell’adolescenza: crudele, luminosa e indimenticabile. È come se ogni lettore salisse a bordo di quella nave insieme ad Arturo, portandosi dietro la sua personale isola.
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